I prodotti No o Low Alcool – questi ultimi letteralmente ‘ a bassa gradazione alcolica’-, rappresentano delle valide alternative alle bevande tradizionali che, normalmente, lo contengono
Chi rinuncia all’alcool, per scelta o per altre valide motivazioni (magari anche per questioni di salute), non deve per forza rinunciare al piacere di assaporare bevande diverse dal vino: perché, ci teniamo a sottolineare, il trend dei vini low alcool o alcol free, è assumibile nella categoria ‘ bevande’ : i viticoltori, che l’alcool lo utilizzano normalmente per realizzare i propri vini – storici, talvolta – potrebbero “alzare la voce”. A tal proposito, citiamo una nota di Federvini del 1 dicembre 2024 : ” Il Ministero dell’Agricoltura conferma che in Italia non sarà possibile dealcolare vini Dop e Igp”.
Categoria comunque in forte crescita nel settore delle bevande, da osservare e analizzare, e che rappresentano comunque un’opportunità per nuovi mercati: che si stia celebrando un’occasione speciale o si desideri consumare un aperitivo in compagnia degli amici, i prodotti analcolici o leggermente alcolici, sono la scelta ideale per concedersi momenti alternativi, creativi e rinfrescanti.
Abbiamo cercato nuovi spunti di analisi con Sandro Minella, sommellier, divulgatore e docente della Barolo&Barbaresco Academy
1. Nella tua attività di divulgatore vinicolo, che impatto terminologico ha ” vino dealcolato” e come potrebbe percepirlo il pubblico lettore?
Se da un lato “vino dealcolato” identifica correttamente il processo di produzione (prima viene fatto un vino e poi viene tolto l’alcol da esso), dall’altro sono perplesso sull’utilizzo del termine vino in etichetta. La definizione di vino dell’OIV vede ufficialmente la luce nel 1973. Da questa data in poi, “il vino è la bevanda risultante esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve. La gradazione svolta non può essere inferiore all’8,5% vol.”. Le risoluzioni dell’OIV non hanno di per sé il valore di legge, ma esattamente su queste risoluzioni si basano tutte le normative dell’Unione Europea in tema vino.
Se quindi la fermentazione alcolica, e pertanto la presenza di alcool nel prodotto finito, è parte essenziale della definizione di vino, non vedo come questa si può si utilizzare su un prodotto con totale assenza di alcool. Questo a mio avviso ingenera confusione nel consumatore.
2. Tu sei operativo soprattutto in Piemonte: come hanno reagito le imprese vinicole a questa nuova dicitura?
La mia impressione è che l’approccio della maggior parte dei produttori in Piemonte si possa riassumere con questa frase: non ho nulla contro il vino dealcolato, ma la mia cantina non lo produrrà mai.
Tuttavia alcuni export manager stanno percependo una crescita delle richieste da parte del mercato e, per quanto essi stessi poco entusiasti della cosa, stanno facendo pressione sui produttori, per non rischiare di ritrovarsi tagliati fuori se le richieste aumenteranno ulteriormente.
3. Alcune di queste, secondo te, potrebbero rinnovarsi appoggiando questa idea?
Mi ricollego a quanto detto sopra: sicuramente la tendenza al vino dealcolato non entusiasma i produttori, specialmente le piccole realtà a gestione famigliare in cui il produttore è anche un grande appassionato di vini. Tuttavia il continuo calo delle vendite di molte denominazioni potrebbe spingere molti ad investire in questa direzione.
4. All’estero, soprattutto negli States, dove porti la tua esperienza, stanno rilevando questo nuovo “wine trend”? E se sì, che idea se ne fanno?
Per quanto riguarda il mercato USA, bisogna innanzi tutto premettere che questo paese è grande ed estremamente diversificato, sia per fasce d’età che per area geografica, quindi è difficile fare generalizzazioni.
La mia impressione è che il “vino” dealcolato incontri da un lato forte resistenza presso la cosiddetta generazione dei boomers e nelle aree con mercati più consolidati (New York, California), dall’altro lato grande entusiasmo da parte delle giovani generazioni e in alcuni stati della zona centrale, che più recentemente si sono affacciati al consumo del vino.
5. Se prenderà piede in Italia, che futuro di vendita prevedi per il vino low alcool?
Penso che il discorso generazionale sia simile a quello descritto sopra per gli USA e per quanto riguarda le aree geografiche troverà maggiore interesse nelle aree metropolitane o comunque nelle zone senza vocazioni vinicole storiche.
Tuttavia non credo ci sarà a breve un grande aumento di consumi di questa tipologia di prodotto, visto che tra le bevande senza alcool l’offerta è molto ampia, dai prodotti a base di frutta o erbe, dai cocktail agli infusi o fermentati non alcoolici, dove sempre più frequenti sono quelli biolologici e prodotti con ingredienti locali che offrono una tipicità ed una tradizione che il vino dealcolato non ha.
Intervista a cura di Chiara Vannini