“Less is More”: la grande lezione del Maestro della cucina italiana, Gualtiero Marchesi. A sette anni dalla sua morte, avvenuta il 26 dicembre 2017, il suo monito è sempre attuale: ancora oggi, troppo spesso, disatteso
“Quando faccio cucina cerco sempre la semplicità, che è sottrazione del superfluo e riduzione all’opportuno”, si legge nel testo della tesi della Laurea magistrale honoris causa in Scienze Gastronomiche, discussa da Gualtiero Marchesi a Parma il 10 ottobre 2012, cinque anni prima della sua morte. Quel giorno io c’ero e ho ricordi nitidi della sua toccante esposizione. In particolare, quando Gualtiero disse: “sottrarre, in sostanza, è una pratica che consente di ottenere il massimo con il minimo, come insegna il grande architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe – che affermava ‘less is more’ e che si rese famoso per la teoria delle ‘soluzioni differenti’ – , allo stesso modo, i veri artisti, continua Gualtiero, a volte sembrano fuori tempo”. Su questo punto, il filosofo Henry David Thoreau ci ricorda che se qualcuno non marcia al passo dei suoi compagni, forse è perché sente una musica diversa”.
Già, una musica diversa, onesta e pulita, capace di rifiutare il superfluo e di sorprendere, una musica più vicina alla poesia che alla cucina.
Il RIFIUTO DELL’OVVIETA’
Quella sottile, raffinata irrisione verso certe “regole”, che tanto caratterizzava il fare e il dire di Gualtiero Marchesi, in cucina e nella vita, trova un importante parallelo nell’universo artistico contemporaneo. Non si tratta di analogie forzate, ma di profonde e spontanee convergenze, tanto rare quanto preziose, che vedono nel rifiuto dell’ovvio, ma anche della “a tutti i costi” (alla fine funzionale al sistema), un asse naturale fra pensiero e azione, capace di superare le ovvietà e andare diritte all’obiettivo. La non prevedibilità, l’essere fuori dal coro, lontani dagli standard imposti dal pensiero generale, tanto ovvio e omologato quanto scontato, sono la cifra che caratterizza tutta l’opera di Gualtiero.
Al tempo stesso, vedo la distanza assoluta da ogni forma di stravaganza, di bizzarria o di pseudo oppositività, di finto antagonismo privo di contenuti: atteggiamenti, questi, funzionali al sistema dell’ovvio, adottati solo per attirare l’attenzione su di sè. Memorabili le battaglie di Gualtiero contro la mediocrità diffusa, logora protagonista di certi salotti “culturali”milanesi. Di fronte a certa vuotezza, Marchesi contrapponeva il valore della non omologazione, del pensiero critico, della spontaneità pura e lo trasforma, attraverso la tecnica, in arte.
” NON CHIAMATEMI CHEF”
Gualtiero Marchesi con le sue pennellate di colori ci riporta deciso ai cromatismi necessari, senza fronzoli, tipici dell’esprimersi attraverso l’arte. Come nel Dripping di pesce, uno dei suoi piatti più famosi, dove vince le possibilità dei colori di sovvertire le aspettative, calibrando e modulando con sapienza l’espressione materiale e artistica.
“Non chiamatemi chef, ripeteva Marchesi: perché il cuoco cucina e lo chef comanda”. Non è facile spiegarlo, ma Gualtiero rappresentava il raccordo esemplare fra la necessità di analisi storica dei fatti e la certezza interiore di poterne fare a meno, trasformando le proprie incertezze in lucide visioni e azioni, attraverso la bellezza, il piacere di sorprendere, il nuovo linguaggio della materia e dei colori.
Gualtiero era un forziere di conoscenze-episodi-sentimenti preziosi, dal quale attingere in caso di bisogno. La prontezza di carattere e la profondità con cui difendeva e attaccava, il suo essere “tagliente” nel respingere ogni forma di mediocrità, erano -insieme a una generosa franchezza- una vera e propria protezione dai tanti portatori di preconcetti, diffidenze e luoghi comuni., Per Gualtiero la sapienza non era un fatto libresco, un insieme di regole intoccabili, ma il frutto di una sensibilità superiore e passionale, destinata a quanti volessero e potessero dare spazio alle proprie emozioni.. Anche attraverso la sovversione di ogni preconcetto. Un baluardo contro l’ottusità, una barriera protettiva contro ogni forma di “cretinismo cognitivo”, cosi diffuso di questi tempi….
LA RESTITUZIONE DELLE STELLE
Essenziale, senza fronzoli, pulita, ma esteticamente unica: la cucina del Maestro, come la sua vita, era diretta espressione del bello e del buono, frutto di carattere, cultura, visione, stile. Il coraggio di Gualtiero, così come la sua capacità di spiazzare il cliente al tavolo dei suoi ristoranti, dal primo di via Bonvesin de la Riva fino all’ultimo, il suo Marchesino in piazza della Scala, erano proverbiali: quando, dopo avere lasciato l’Albereta della famiglia Moretti, ad Erbusco, ritornò alla sua Milano, entusiasmo e passione erano alle stelle. E, a proposito di stelle, è famosa la “restituzione” al mittente delle stelle che la Guida Michelin gli aveva decurtato. Era il 2008 e alla esternazione seguì l’edizione 2009 della Michelin, che gli dedicò, appunto, solo un commento, genericamente positivo ma senza punteggio, senza più stelle. Il rifiuto plateale venne comunicato ai giornalisti contestualmente all’inaugurazione del Marchesino. Il Maestro condusse la conferenza nella Sala del Lampadario del Circolo della Stampa: ancora oggi, sedici anni dopo, le sue parole risuonano come un monito fortissimo, un appello accorato a rispettare chi merita, a premiare la serietà, a tenere conto di genio e di impegno, di passione e di tecnica. Ma anche ad avere il coraggio di disubbidire alle regole imposte, alle ritualità consolidate. Contro l’ovvietà, sempre, come i contenuti de l’Altraitalia.
Ciao Gualtiero
(contributo a firma di Alberto Schieppati, giornalista e scrittore)
©foto copertina Ferdinando Cioffi