Zafferano Dolomiti, l’oro rosso dall’Oriente alle Alpi.

zafferano

Un tocco di esotico nelle Dolomiti. È “Zafferano Dolomiti”, il progetto che porta l’oro rosso a Belluno, in Veneto. La pianta dello zafferano ama le basse temperature, anche sotto zero, è adatta perciò alle coltivazioni di altitudine, per questo è venuta l’idea di portare la pregiata coltivazione in territorio bellunese, prendendo spunto da una realtà in provincia di Bergamo. Si hanno tracce dello zafferano in Veneto già dai tempi della Repubblica di Venezia, quando i bulbi venivano portati dai commercianti di ritorno dai viaggi in Medio Oriente. Il sogno di Zafferano Dolomiti, che per ora coinvolge circa 60 produttori tra Valbelluna, Feltrino, Agordino, Val di Zoldo e Cadore, è quello di unire tutti i produttori della provincia in un’unica realtà.

Un mito greco racconta la triste storia del giovane Croco, innamorato della bellissima ninfa Smilace. Gli dei, contrari a questo amore, li puniscono trasformandoli entrambi in una pianta: lei nella spinosa Smilax aspera e lui nel delicato Crocus sativus, o “zafferano vero”. Questa l’origine della pianta secondo la mitologia, a testimonianza del suo utilizzo in epoca antica e dell’importanza che gli veniva attribuita. L’avventura di questo prezioso fiore nel bellunese, cominciata nel 2016 con 40 partecipanti, è proseguita nel 2017 con un gruppo di oltre 70 coltivatori che hanno piantato un totale di oltre 30.000 bulbi (7 quintali) per una produzione finale significativa, vista la resa del prodotto: circa 300 grammi di zafferano pronto per l’utilizzo. I coltivatori che prendono parte al progetto devono seguire un corso pratico sulle tecniche di coltivazione e rispettare un disciplinare di produzione, regolamentato dal Comitato Tecnico.

Tutto il territorio bellunese  si presta  alla coltura dello zafferano, che trae vantaggio dall’escursione termica tra il giorno e la notte. È inoltre di facile coltivazione, non è soggetto a malattie, attacchi di insetti o muffe, necessita di poche cure e non servono macchinari particolari né grandi spazi, anzi essendo una coltivazione così tardiva non interferisce con gli altri ortaggi e può sfruttare il terreno anche dopo il normale periodo del raccolto. I bulbi utilizzati in questo progetto sono originari di Navelli, in Abruzzo, terra storicamente sinonimo di qualità per questa spezia, da quando nel 1400 il frate Domenico Sabelli ha portato qui la coltivazione dalla Spagna. I bulbi vanno interrati a fine agosto e i fiori vengono raccolti delicatamente a mano verso metà ottobre, vengono accuratamente separati gli stimmi, che sono poi essiccati: dello zafferano infatti si consumano solamente i tre filamenti rossi che si trovano in ogni fiore, contenuti nei petali viola del croco. Lo Zafferano Dolomiti, coordinato dall’agronomo Massimiliano Gnesotto, è interamente prodotto, lavorato e confezionato in provincia di Belluno. Le confezioni da 0,20 grammi oppure 0,50 grammi, realizzate in un laboratorio a Calalzo di Cadore, presentano il marchio registrato Zafferano Dolomiti e sono personalizzate per ogni produttore. Il prodotto così commerciato è pronto per essere consumato, dopo l’opportuna reidratazione, e utilizzato nella preparazione di risotti, sughi, secondi piatti e anche dolci.

Già ampiamente utilizzato prima dei Greci anche da Fenici, Persiani e Egizi, è sempre stato simbolo di ricchezza e eleganza, nelle diverse culture ha avuto i più svariati utilizzi: in cucina, come medicinale, come afrodisiaco, come profumo, nella cosmesi, colorante in pittura e di tessuti, come dono per gli dei. Importato anche in India, Cina e nell’Impero Romano, viene riscoperto in Europa nel Medioevo fino ad essere coltivato in tutto il mondo. Fin dalla morte di Buddha le vesti dei monaci venivano tinte con lo zafferano, che è tuttora il colore tradizionale dell’abito dei sacerdoti buddisti.

Per informazioni sul progetto Zafferano Dolomiti: www.facebook.com/zafferanodolomiti

Isabella Feltrin

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